Lettera aperta alla comunità di YaBasta!-Nova Koinè, cosa ci lasciano gli zapatist*?

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Cosa ci lasciano gli zapatist*? Questa è la domanda che ho provato a pormi in questi giorni frenetici. La risposta è complessa e credo possa essere solo collettiva.

Provo però ad immaginare alcuni pezzi di una risposta che formuleremo assieme:

La dimensione collettiva come spazio unico per la lotta, la dignità, l’esistenza, questo è sicuramente il primo insegnamento che ho tratto da queste giornate. Alla domanda “tornerete in Europa?” la risposta è stata secca e densa, “Si, l’EZLN tornerà ma non noi…altri compas perchè pensiamo che tutte e tutti debbano formarsi allo stesso modo”. In un’epoca in cui c’è la corsa all’individualismo, alla coltivazione dei rapporti personali anche nelle dimesioni politiche questa risposta è incredibile a sentirsi.

Nei discorsi fatti, nelle assemblee, gli zapatist* non hanno mai utilizzato il pronome “io”, anche a domande dirette, specifiche e individuali hanno sempre risposto in modo collettivo precisando sempre di parlare a nome di quelli che lottano in Messico e di tutti quelli che hanno lottato nella lunga notte dei 500 anni…che differenza rispetto alla nostra dimensione in cui chi fa politica, anche in basso a sinistra, parla sempre per “distinguo individuali”, “storia personale”, “singolo percorso”, “propria declinazione”, “personale visione” ecc…

La semplicità della rivoluzione, il suo essere popolare e aggregativo. I nostri compas hanno incontrato i gli attivist* italiani segnando sui loro quaderni ogni nome di singolo o collettivo visitato ma con un’idea di unità che a noi manca ormai da troppo tempo.

La capacità di sintesi e di guardare alla dimensione complessiva e non ai particolarismi, l’abitudine a vedere le differenze di sigle e realtà sociali come un valore aggiunto in una foto che comunque tiene tutte e tutti insieme. Per noi qui in Italia dove la frammentazione sociale e politica è ormai inesorabile, in cui ogni singola realtà o associazione parla per se e sente sempre il bisogno di distinguersi dagli altri percorsi come se gli appartenessero solo le pratiche in cui è direttamente impiegata, tutto ciò sembra assurdo. Gli Zapatist* si sono riconosciuti in ogni percorso incontrato, da quello più semplice a quello più elaborato nell’idea, da noi ormai persa, di essere di casa ovunque si lotti per costruire l’altro mondo possibile;

L’Importanza di dedicare il giusto tempo alle parole, all’incontro, allo scambio, alla discussione. Ogni giorno nelle nostre piccole comunità riduciamo gli spazi di confronto e così le assemblee devono essere brevi, mai troppo lunghe, mai in settimana, mai di domenica, mai quando gioca il Napoli, mai più di una a settimana, mai più di una ogni due settimane.

Grazie agli zapatist* invece abbiamo riscoperto l’importanza di dedicare tempo all’assemblea, all’ascolto attento senza cellulari da scorrere o PC da consultare. L’ascolto totale, l’impiego consapevole del tempo necessario che è cosa diversa da quello prestabilito. Il rispetto per ogni tempo di intervento, la consapevolezza che la discussione collettiva è lo spazio di crescita vero e che forse a furia di ridurla ci siamo ridotti sempre più a semplici operatori e non più a sognatori rivoluzionari.

Queste sono tre delle tante cose che mi hanno colpito e che ho pensato di condividere con voi che siete la mia comunità. In attesa di vederci dal vivo sarebbe bello condividere tra di noi impressioni e immagini per iscritto, anche solo poche frasi o pensieri.

Un abbraccio,

A.

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