PICCOLA FAVOLA SULLA MASSERIA, SULLA FORESTA DI CEMENTO E SUL GIORNALISTA DEL GRANDE ED UNICO GIORNALE.

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C’era una volta e forse c’è ancora una comunità di sognatori che viveva ai confini della grande foresta di cemento chiamata “Modernità”. Avevano con fatica ed incoscienza rimesso in moto una vecchia masseria e da allora vivevano tra quelle vecchie e fatiscenti mura. Coltivavano la terra ed il poco che avanzava non lo mettevano mai da parte ma lo portavano in dono ai loro vicini o davano grandiose feste alle quali invitavano tutti i contadini della zona. Cantavano e ballavano tutta la notte le canzoni antiche riadattando le parole per provare a parlare della grande foresta di cemento sempre più grigia e scura che inghiottiva tutto e tutti attorno a sé. Era una comunità povera, ma sempre allegra. A volte litigavano, è vero, ma solo perché per portare avanti la masseria c’era bisogno di un gran lavoro e di un impegno che spesso sembrava non finire mai. Ma, alla fine, si ritrovavano sempre la sera a giocare col vecchio biliardino o a carte e sembrava tutto così semplice e facile. Amavano ripetere che la masseria era proprio questo: La semplicità difficile a farsi. Ben presto iniziarono ad attrarre altre persone triturate dalla foresta di cemento e la comunità iniziò a crescere e ad espandersi nelle zone circostanti e man mano che cresceva, cercava di trovare nuovi modi per aiutare tutte le persone con cui ogni giorno si incontrava e si riconosceva.  La comunità crebbe al punto da suscitare l’attenzione del grande ( nonché unico) giornale della foresta di cemento chiamata “Modernità”, che incaricò un suo giornalista ( uno di quelli poco importanti, con contratto da apprendistato o forse proprio senza contratto) di andare a conoscere questa comunità e capirne gli obiettivi ed il programma politico.

Quando il giornalista arrivò alla masseria trovò molta gente impegnata nelle cose più disparate: c’era chi stava aiutando dei bambini a studiare, chi insegnava a persone provenienti da altri luoghi il dialetto locale, chi giocava a biliardino, chi cantava e chi provava stralci di uno spettacolo teatrale ambientato in terre lontanissime. C’era anche chi era intento a studiare il modo per aggirare le leggi che affamavano i contadini della zona, chi selezionava abiti vecchi raccolti in giro e chi stava semplicemente ad ascoltare i problemi privati e collettivi delle persone annotando il tutto in un enorme libro su cui era scritto “Questioni da affrontare e se possibile risolvere”. Il giornalista andò con decisione da un abitante della masseria che stava tutto intento a rovistare nell’immondizia, a scartare ciò che era ancora utile e differenziare rifiuti. Si avvicinò allo strano tipo e si presentò come il “Giornalista per nome e per conto del grande giornale della foresta di cemento”. L’abitante della masseria lo guardò a stento e con piglio un po’ burbero rispose “ e quindi?” Il giornalista allora gli disse con un po’ di risentimento “ forse non mi ha capito, voglio scrivere un articolo su di voi, diventerete famosi!”. Per tutta risposta ricevette solo un breve e lapidario “fai quello che vuoi”. Il giornalista rimase allibito da tanto disinteresse ma non si perse d’animo e cominciò a fare un sacco di domande sulla storia della masseria, sugli obiettivi e sul “programma politico”. L’abitante visibilmente seccato gli disse “ senti questo è un ritrovo per gente che rifiuta e che è stata rifiutata dalla grande foresta, ci diamo una mano e tentiamo di darla agli altri, del tuo giornale e della grande foresta non ce ne frega niente”. Intervista fu decisamente breve ma gli aveva dato già un’idea per il titolo dell’articolo: “ La comunità che rifiuta la foresta di cemento”. Il giornalista era tutto sommato contento e stava quasi per andar via quando incontrò una giovane ragazza attraente ma dallo sguardo molto severo. Decise per scrupolo professionale di rivolgere anche a lei qualche domanda. Questa rispose in modo irritato e infastidito: “Che cosa vogliamo? Prenderci la foresta di cemento, assaltarla e trasformarla in un vero giardino con alberi, fiori e tutto il resto”. Il giornalista la guardò perplessa….era l’esatto contrario delle parole che gli aveva detto il tipo burbero addetto all’immondizia. Decise allora di andare a fondo alla questione ed iniziò ad intervistare tutte le persone che incontrava: “Siamo qui per la grande festa di stasera, il programma è divertirci e bere tanto vino” gli risposero alcuni ragazzini; “Siamo una comunità di artisti e saltimbanchi, facciamo tutto questo per l’arte” gli rispose un altro tipo che era tutto intento a leggere libri in una lingua incomprensibile; “E’ uno spazio in cui insegniamo agli altri ad amare i libri e la scuola” gli disse una giovane ed esile ragazza. Ad ogni domanda la confusione nella testa del giornalista aumentava: “Siamo una specie di sindacato”; “Siamo un comitato festa”;“Siamo gli eredi del Grande Partito Comunitarista”; “Siamo un po’ come i boyscout senza l’obbligo dei calzoncini”; “Siamo un movimento anti-partito”; “Siamo una sorta di nuovo partito politico”; ”Siamo i custodi delle antiche tradizioni dei nostri antenati contadini”; “Siamo appassionati di giochi da tavolo”; “Siamo una squadra di calcetto che non vince mai”.

Il giornalista leggeva disperato la miriade di definizioni contraddittorie annotate sul suo taccuino. Che figura avrebbe fatto al giornale? cosa avrebbe scritto la mattina seguente? Mentre era assorto in questi ed altri tristi pensieri gli si avvicinò una ragazza dall’aria dolce che aveva un camice ma non era un medico e gli disse: “guarda ho saputo che devi scrivere un articolo su di noi e immagino che dopo aver parlato un po’ con tutti tu debba avere le idee un po’ confuse… io non saprei aiutarti senza aumentare la tua confusione e perciò ti dico di andare negli edifici di fianco alla stalla, lì troverai uno di noi che sta da anni scrivendo una storia della masseria e di tutti noi o almeno è quello che racconta a noi per evitare di lavorare la terra, magari lui potrà aiutarti”. Il giornalista scattò all’istante e tutto sorridente corse verso l’edificio, “ uno storico, è proprio quello che ci voleva!”. Arrivato nelle stanze al lato della stalla trovò lo “studioso sfaticato” tutto intento a scrivere su un libro incredibilmente voluminoso. Con voce irruenta quasi gli urlò: “Salve, sono un giornalista, devo scrivere un articolo sulla masseria, sa dirmi come è nata? Perché? Che programma politico ha? Che obiettivo vuole ottenere?”. Lo storico lo guardò con aria svampita e sospirando disse “o se solo fosse venuto pochi minuti fa… avrei potuto aiutarla, ormai è tardi”. Il giornalista rispose accigliato “ e che cosa può mai cambiare in pochi minuti? Insomma vuole o non vuole aiutarmi? Non faccia lo spiritoso, il mio articolo porterà grande fama a tutti voi!” Lo storico con calma gli rispose “ vede se fosse venuto qualche minuto fa avrei potuto darle il mio libro -Genesi e sviluppo politico sociale della masseria e dei suoi abitanti”. Il giornalista lo guardò con gli occhi ormai pieni d’ira per quella che sembrava una presa in giro del tutto irrispettosa “e perché non può più darmelo? Ha terminato le copie? Lo ha prestato a qualcun altro?”. “Non posso darglielo più perché l’ho appena distrutto gettando le circa 10.000 pagine del manoscritto in quella stufa”. Il giornalista rimase senza fiato “E perché mai lo ha fatto? È forse un matto?”. Lo storico lo guardo un po’ risentito e ma rispose con calma “Vede, sono circa dieci anni che scrivo e riscrivo quel manoscritto. Ogni volta che riesco a terminarlo ne rileggo appena un paio di righi e poi decido di bruciarlo”. “Ma perché lo fa, io non capisco!” esclamò il giornalista ormai adirato da un così evidente spreco di tempo e carta. “Vede” continuò lo storico “Ogni volta che lo termino mi accorgo che la storia è cambiata, che è cambiato l’obiettivo, il metodo, l’intenzione e quindi ogni volta mi tocca ricominciare daccapo”. Il giornalista si lasciò cadere su una sedia…l’idea di scrivere un articolo chiaro e importante era oggettivamente irrealizzabile. Guardò lo storico e disse con rabbia: “Ma cosa siete voi una gabbia di pazzi, ognuno vive questo posto come vuole, gli da gli obiettivi che vuole e ne parla come vuole, tutto ciò non ha senso!”. Lo storico allora gli sorrise e gli disse “Hai pienamente ragione mio caro, e forse se avesse senso non esisterebbe neanche ed anche noi abiteremmo nella grigia foresta di cemento…. Forse funziona proprio perchè per gente come te quello che facciamo è privo di senso…. Forse bisogna ridefinire il concetto di <sensato>…..Forse potremmo provarci ma in realtà non credo ci interessi. Sul tuo articolo scrivi solo che siamo gente semplice, che la sera spezziamo il pane e lo dividiamo tra tutti noi e che la mattina cogliamo fiori di campo da regalare a persone  sconosciute…per ora”.

Il giornalista tornò triste e pensieroso nel suo piccolo ufficio. Poi ad un certo punto capì quello che forse neanche gli abitanti della masseria avevano capito. Prese carta e penna e tracciò una linea, il giorno dopo lo diede al suo capo e disse “ La masseria è dall’altro lato della linea”.

Non sappiamo quale sia stata la sorte del giovane giornalista, ne gli sviluppi della sua situazione lavorativa e della sua carriera. Quel che è certo è che dopo un po’ di tempo davanti all’ingresso della masseria qualcuno tracciò una lunga linea rossa  senza fine e senza inizio. Agli abitanti della masseria questa linea piacque molto e perfino lo storico la usò nella copertina del suo nuovo libro che, come sempre, dopo aver terminato diede alle fiamme.

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