Riflessione su di noi, sulle parole che usiamo, sulle identità, sulle moltitudini e sulle solitudini

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Riflessione su di noi, sulle parole che usiamo, sulle identità, sulle moltitudini e sulle solitudini

Parte 1° – le parole che usiamo e quelle che non usiamo – di Alessio Malinconico

Care e cari,

Scrivo questa lettera perchè spero possa essere di spunto per una riflessione collettiva su di noi e sulla nostra identità che da tanti anni è oggetto di auto-definizione ed auto-ricerca.

Voglio partire dalle parole che utilizziamo per presentarci nei vari luoghi in cui strumentalmente[1] operiamo da anni: volontari, attivisti, militanti, operatori, compagni.

Queste parole le abbiamo spesso utilizzate a seconda dei contesti trasversali che attraversiamo e forse a volte senza rifletterci troppo, eppure io credo che queste parole non siano tutte uguali e la scelta di quali utilizzare e quali evitare sia importante per definire questo nostro percorso che oggi è difficilmente inquadrabile all’interno di una cornice di stampo tradizionale.

Noi siamo dei volontari, questo è certo. Lo siamo in modo totale e nel senso originario del termine ovvero “persone che volontariamente dedicano il proprio tempo ai soggetti deboli, a una causa ecc..”. Eppure, non siamo un’organizzazione di volontariato per come queste si declinano attorno a noi e per il senso che la parola “volontario” ha assunto in questi anni. Il volontariato è oggi infatti una stampella dello stato, un riparo per gli esclusi dal libero mercato. Questo è sempre più identificato con il “Terzo Settore” e non a caso la nuova riforma del Terzo Settore uscita nel 2019 ha equiparato tutti gli enti del terzo settore inserendoli tutti in un unico registro nazionale: associazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali ecc… Il Terzo Settore diviene quindi sempre più un settore istituzionale che interviene in tutela delle fasce deboli mettendo una pezza dove lo stato non arriva.

Inutile dire che questa modalità è molto riduttiva rispetto all’azione che noi svolgiamo e che affianca all’intervento “di soccorso” una continua azione di proposta politica e sociale per cambiare l’assetto istituzionale. Lo facciamo proponendo continuamente servizi e strutture per combattere la dispersione scolastica e denunciando le assenze delle istituzioni. Lo facciamo attraverso le istanze dello Sportello Diritti sui temi del reddito e dell’immigrazione. Lo facciamo attraverso la programmazione delle misure sociali e dei criteri di accesso su cui come banco alimentare abbiamo fatto campagne ed egemonia non solo a Scisciano. L’idea quindi dei volontari che spinti da uno spontaneismo ingenuo si prodigano per colmare distanze e assenze non ci appartiene dal momento che ogni volta che scendiamo in campo lo facciamo dopo aver studiato, elaborato e definito proposte complessive.

Noi siamo degli operatori, questo è certo. Lo siamo perché negli anni ci siamo formati sul campo, entrando nelle contraddizioni e costruendo relazioni con i soggetti reali di cui troppi parlano con scarsa conoscenza diretta. Eppure, questo titolo ormai è un titolo che si identifica con un percorso formativo che quasi nessuno di noi ha. L’operatore è una figura oggi “professionale”, “retribuita” ed inserita in un discorso di impresa sociale e queste caratteristiche non ci appartengono affatto nonostante l’enorme bagaglio di esperienza e professionalità maturato in questi anni.

Noi siamo dei militanti, questo è certo. Lo siamo perché abbiamo scelto una parte della barricata e da lì abbiamo definito valori, idee, pratiche e proposte politiche (da ultimi i 10 punti sul reddito e prima le campagne antirazziste, la tutela dei diritti, la pratica anti-fascista, la lotta per i beni comuni). Eppure non rientriamo all’interno dei vari gruppi di militanti (istituzionali, religiosi, extra-parlamentari, anarchici ecc..) con cui pure da anni costruiamo percorsi importanti. La nostra laicità di rapporti ci ha permesso di tessere relazioni ampie e mai strettamente rinchiuse in uno specifico “circolo di militanti”. La moltitudine, di percorsi politici e sociali, che vive al nostro interno è estranea all’idea settoriale e chiusa che identifica oggi i vari gruppi di militanti ( che siano di sinistra, religiosi, sindacali ecc..).

Noi siamo forse Compagni, perché nel senso originario del termine “Cum-panis”, ovvero coloro che spezzano il pane abbiamo scelto di condividere un percorso che assorbe gran parte delle nostre esistenze, le determina, le caratterizza e le identifica.

Eppure quanto poco viviamo il mondo della “compagneria” che oggi è sempre più esercizio di vuota retorica (i compagni istituzionali dei vari partiti di centro-sinistra o dei quotidiani nazionali sempre più espressioni di gruppi di potere) o esercizio di testimonianza, a volte anche deleteria per la causa ( le varie formazioni politiche non istituzionali). Questo mondo con cui condividiamo temi e battaglie è un mondo che da anni ormai difficilmente ci rappresenta al pari degli altri che ho sopra-citato.

E allora cosa siamo? Se siamo tutto ciò e contemporaneamente siamo diversi da tutto?

Io credo che la nostra identità sia ancora in divenire e che per ora potremmo affidarci ad una parola che proviene dal movimento dei movimenti: attivisti.

Gli attivisti sono storicamente quelli che scelgono delle cause e che si battono i percorsi specifici: attivisti contro la pena di morte, attivisti per la libertà di stampa, attivisti ambientali.

Noi combattiamo tante battaglie e lo facciamo con la pratica dell’esempio ( come ci ha sempre insegnato Sabino) e con la costruzione di percorsi di mutualismo ed autorganizzazione. Il nostro essere attivisti per la questione di genere ed il diritto alla casa coincide con la nostra casa rifugio, così come il nostro attivismo per i diritti umani si manifesta attraverso uno sportello di tipo sindacale.

Insomma siamo attivisti strani perché non facciamo grandi campagne di comunicazione, ma sicuramente questa parola in questa fase ci rispecchia più di tante altre e forse ci permette di evitare sovrapposizioni con altre realtà che (nel bene e nel male) non ci rispecchiano e forse non lo hanno mai fatto. Il novecento si è chiuso e ciò che siamo ancora non ha forma definita o completa. Sicuramente ancora oggi, dopo 12 anni camminiamo domandando, scaviamo sentieri nella foresta vergine, costruiamo ponti tra terre inesplorate. Siamo, credo, un’anomalia, lo siamo sempre stati e forse proprio per questo oggi a differenza di altri abbiamo forse qualcosa da dire che possa aiutare a uscire dalla tormenta che sta colpendo in modo disumano questo nostro pianeta.

Un abbraccio a tutte e tutti voi.

Siamo ancora dei sognatori, siamo ancora invincibili, siamo ancora dalla stessa parte della barricata e direi che siamo ancora ATTIVISTI DELL’ALTRO MONDO POSSIBILE.

[1] Ho usato la parola strumentalmente perché da sempre utilizziamo i contesti più disparati per costruire i nostri percorsi, ponendo sempre attenzione al fine e soprattutto ai soggetti reali con cui portiamo avanti questi percorsi. Utilizziamo i bandi di finanziamento come utilizziamo le campagne politiche e cioè come semplici strumenti operativi.

 

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